Nei precedenti articoli abbiamo sottolineato innumerevoli volte quanto Marte sia poco ospitale per la vita umana. Le condizioni marziane somigliano a quelle della vetta di un ipotetico monte alto 30000 metri, insostenibili per l’uomo a causa di temperatura, pressione e radiazioni.
Non sempre però è stato questo lo stato del pianeta. Segni lasciati da fiumi e la presenza di minerali che possono essersi originati esclusivamente grazie all’acqua suggeriscono che più di 3,5 miliardi di anni fa, agli albori del sistema solare, Marte ci sarebbe sembrata molto familiare. Essendo però il pianeta troppo piccolo per avere placche tettoniche, con i relativi processi di spostamento, l’attività vulcanica è cessata in pochissimo tempo. L’incapacità dei vulcani di creare l’effetto serra ha portato a un congelamento di oceani e atmosfera.
Marte ha preceduto la Terra in molte fasi geologiche, compresa quella iniziale di riscaldamento geotermico dovuto a un’intensa attività vulcanica e a impatti di meteoriti. Col raffreddamento della Terra le nubi di CO2 si sono lentamente depositate nei fondali oceanici, lo stesso CO2 che stiamo maldestramente riportando in atmosfera a causa del riscaldamento degli oceani.
E su Marte dove sta tutta questa anidride carbonica? Logicamente dovrebbe essere subito sotto la superficie. I rover mandati hanno esaminato campioni del suolo marziano senza trovarla, ma hanno scavato solo pochi centimetri in profondità. La missione Insight, sonda atterrata lo scorso novembre, ha il compito di penetrare un po’ più a fondo nella crosta di Marte per darci questa e altre risposte.
La chiave quindi è il CO2. Se dovessimo trovarlo nella superficie, allora avremmo un piano. In caso contrario dovremmo posporre la terraformazione a una generazione futura dotata di tecnologie avanzate di cui adesso non disponiamo. Nel prossimo articolo prenderemo in considerazione la prima ipotesi, che, fortunatamente per noi, è anche la più probabile.
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