In queste settimane, il teatro Argentina di Roma ci ha dato l’opportunità di tornare nel ‘600, con una delle più note tragedie di Shakespeare: Re Lear. Una “tragedia del potere”, l’hanno denominata alcuni, in cui lo scrittore inglese ci fa immergere nella realtà crudele e piena di vanità della Britannia del tempo, nei tanti fraintendimenti e tradimenti tra padri e figli/e. Quale miglior opportunità per noi di Ammazzacaffè di tornare al teatro Argentina?
Con la regia e l’adattamento di Giorgio Barberio Corsetti e la traduzione di Cesare Garboli, questo Re Lear ci presenta una versione alquanto moderna di Shakespeare: costumi contemporanei, molto diversi da quelli del diciassettesimo secolo, che sottolineano la differenza tra le figlie, con le più grandi vestite di colori accesi e la più piccola di nero, ma anche linguaggio molto vicino al nostro, forse troppo, per un’opera del ‘600.
A rendere tutto ancora più in linea con i nostri tempi è anche l’uso della tecnologia. Il regista, infatti, introduce in scena una telecamera, che viene utilizzata da una delle attrici all’inizio dello spettacolo, per girare dei video proiettati in tempo reale su un maxi schermo. Ma nonostante il largo uso di effetti speciali, che potrebbe infastidire alcuni, ciò che colpisce di più in realtà è il gioco di ombre che appare sullo sfondo del palco durante il duello tra i due figli del conte di Gloucester, Edgar e Edmund.
La recitazione di alcuni attori, che lascia un po’ a desiderare, viene compensata proprio dal gran lavoro compiuto da Gianluca Cappelletti con le fonti luminose, che creano una fotografia molto suggestiva.
Sul lato registico, molto particolare la scelta di Giorgio Barberio Corsetti di giocare sull’arretratezza artistica e morale seicentesca, facendo interpretare a un’attrice secondaria “ruoli da uomo”, invertendo la convenzione di quel tempo, che invece proibiva alle donne di recitare. Per quanto riguarda la musica, Luca Nostro ha reso lo spettacolo coinvolgente con i suoi componimenti, facendoci immergere nel vivo della tragedia e rendendo tutto ancora più piacevole.
Questa versione di Re Lear ci introduce a una nuova forma di teatro, che racconta storie lontane dal nostro tempo con un linguaggio contemporaneo. Proprio la particolarità dello spettacolo potrebbe aver infastidito una piccola parte del pubblico, che ha abbandonato il teatro prima nell’intervallo. Nonostante questo e gli applausi finali un po’ fiacchi, lo spettacolo merita di essere visto. Resterà in programma al Teatro Argentina fino al 10 dicembre, siete ancora in tempo per godervelo.
Valentina Bruni
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