Il mondo come smarrimento, come perdizione: prima venne la vita, poi i ripetuti tentativi di migliorarla, che portarono alla sua distruzione; e dopo, quando non rimase altro che una distesa gelata di muto nulla, si comprese chi fosse davvero il pianeta e chi i suoi ospiti. E si tentò, di nuovo, di preservare a ogni costo quel poco di vita che ancora resisteva, che continuava a respirare, sebbene sudicia e affamata.
Nella serie TNT Snowpiercer, distribuita da Netflix nel corso del 2020, si racconta di un pianeta al limite della tolleranza, coperto dal gelo di una violenta glaciazione, e di una specie al collasso, che sfiora l’estinzione. I numerosi tentativi di fermare il riscaldamento climatico hanno portato a una drastica diminuzione della temperatura interna, con conseguente arrivo del gelo perenne. I superstiti della razza umana vivono all’interno dello Snowpiercer, un treno a moto perpetuo realizzato dal magnanimo Signor Wilford, costretto a muoversi ad alta velocità su binari che percorrono l’intera superficie terrestre. Mentre la speranza sembra esaurirsi giorno dopo giorno, cresce il malcontento tra gli abitanti, mentre efferati omicidi in terza classe porteranno alla luce inconfessabili segreti e terribili menzogne.
Non manca niente a bordo dello Snowpiercer: serre, stalle, acquari, cucine, ospedali, discoteche. La popolazione è divisa in classi, a seconda del prezzo del biglietto pagato alla partenza. Così, mentre gli abitanti della Prima rimandano il pensiero della fine del mondo, tra lussuosi divani, pregiati liquori, droghe di contrabbando, in Terza classe si lavora per mandare avanti la Locomotiva Eterna. Un mormorio implacabile, tuttavia, giunge dalle profondità del treno: un lamento isolato, sporco, soffocato dalle ingiustizie e dai terribili compromessi del passato: sono gli abitanti del Fondo, che, privi di biglietto, sono stati ugualmente accolti a bordo e stipati nelle ultime carrozze. I fondai sono l’altra faccia del dualismo umano, gli oppressi risparmiati dalla generosità degli oppressori: una società collettiva, senza capi né gerarchie, unita da giuramenti di sangue e sacrifici (in opposizione alla gerarchizzazione delle prime classi); privati di ogni risorsa, si sono insinuati come “parassiti” (il termine non è casuale), violando il perfetto ordine stabilito alla partenza.
Tutti concetti che ampiamente ritroviamo nell’omonimo film del 2013, diretto da Boog Joon-ho, di cui la serie rappresenta un prequel. La differenza sostanziale sta proprio, oltre che nello sviluppo dell’intreccio narrativo e nella concezione del treno (di cui si parlerà più avanti), nel significato della rivoluzione: nell’opera del regista sudcoreano la traversata dei protagonisti dal fondo alla Locomotiva assume caratteri epici, a tratti biblici: rendendo padroni gli schiavi, sarà possibile non solo ottenere la liberazione del popolo del Fondo, ma anche destrutturare il sistema elitario e calcolatore di Wilford, facendo prevalere “l’uomo” sul “treno”. Nella serie, di contro, non si assiste all’annientamento della classe dominante, bensì all’infiltrazione tra le sue fila, alla complicità, al crollo di ogni menzogna: i fondai non odiano più lo Snowpiercer, bensì ne hanno compassione, ne ricercano il calore, la protezione. La guerra non è che un pretesto per incoraggiare la ricostruzione di un sistema democratico, senza tuttavia destrutturare quello già esistente.
Andre Layton (Daveed Diggs) è un fondaio, tra i più orgogliosi e carismatici. Ma sulla Terra era anche un detective: le sue qualità sono perciò richieste in Terza classe, dove stanno avvenendo brutali omicidi. Ciò permette a Layton di infiltrarsi tra le fila del nemico, gustarne le bellezze, respirare la libertà. Da sempre combattuto tra la lealtà al suo anarchico popolo e il desiderio di giustizia e democrazia, Layton smaschererà una menzogna vecchia come la (nuova) umanità stessa, distruggendo un sistema basato sull’inganno e sul “male minore”.
Melanie Cavill, interpretata da Jennifer Connelly, è la portavoce ufficiale del signor Wilford, capo dell’Ospitalità e coordinatrice generale di ogni attività. Il suo sguardo penetrante, i suoi occhi gelidi, i suoi metodi sprezzanti s’insinuano in ogni fessura, a bordo di ogni carrozza, nella mente di ogni passeggero. Melanie non gestisce il treno, lei è il treno: ogni sua arteria è collegata ai circuiti elettrici; ogni suo respiro è in armonia con il ruggito delle rotaie. Ogni sua lucida e geniale azione mira alla conservazione dell’equilibrio, sebbene il senso di colpa per le persone rimaste a terra, tra cui sua figlia Alexandra, la divori dall’interno ogni giorno di più.
Non esiste un treno senza una mano a guidarlo: il signor Wilford, costruttore del treno e benefattore assoluto dell’umanità, è chiuso da anni all’interno della Locomotiva, ma è presente in ogni carrozza: le sue W riempiono ogni parete, ogni divisa, ogni bocca, ogni cuore. Indifferente ai conflitti interni, il suo unico scopo sembra essere garantire la sopravvivenza della razza umana, salvata dal caos dell’estinzione. Eppure nessuno l’ha più visto dalla partenza, tranne Melanie che ne riferisce gli ordini. I suoi messaggi giungono dall’altoparlante per rassicurare e confortare i cittadini, dai quali è venerato alla stregua di un dio.
Lo Snowpiercer è un sistema isolato, autosufficiente, fondato sulla figura di Wilford, che ne rappresenta l’unica certezza. L’Uomo nella Locomotiva assume i tratti di un dittatore invisibile, (similmente allo spettro del “Big Brother” della distopica Oceania, presente nel romanzo 1984), che non governa, come nel capolavoro di George Orwell, attraverso la repressione, bensì tramite la propria presenza, rafforzata dall’immaterialità e dall’assenza del suo corpo, nascosto ai più.
Come già anticipato, la struttura narrativa, assieme a quella registica, supera l’impianto “verticale” e classista del treno, dominante nel lungometraggio di Joon-ho, mostrando l’aspetto più “orizzontale” della Locomotiva Eterna: le singole carrozze non rappresentano più singoli passi verso la libertà, bensì ambienti con specifiche funzioni, fittamente interconnessi: in ogni istante traspare l’atmosfera opprimente degli stretti corridoi; allo stesso tempo, però, la scenografia valorizza ogni singolo spazio, creando un teatro perfetto anche per i momenti più incalzanti. La narrazione procede a ritmo sempre più serrato e concitato, portando progressivamente alla luce la verità, i conflitti e le incomprensioni. Il tutto sotto il severo sguardo del pianeta congelato, visibile dagli ampi finestrini e dalle spettacolari (sebbene forse evitabili, poiché disperdono l’idea del sistema chiuso) panoramiche esterne. Tutte convincenti le prove attoriali, meno la massiccia presenza della colonna sonora, che non di rado finisce per sovrastare i dialoghi.
La seconda stagione della serie è attualmente in uscita su Netflix, con la pubblicazione di un episodio a settimana.
Snowpiercer riesce brillantemente a liberarsi dalla pesante eredità del cult di Boog Joon-ho, riprendendone e ampliandone gli aspetti più interessanti e significativi: seppur stilisticamente lontana dallo sperimentalismo distopico del regista sudcoreano, la serie procede in maniera spedita e autonoma, attraverso una storia non intrusiva che si rivela episodio dopo episodio, fino allo sconvolgente finale di stagione, che cambia radicalmente le carte in tavola.
Perché non esistono certezze: qui, a bordo dello Snowpiercer, lungo mille e una carrozza.
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