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Painstation, quando il gioco si fa (troppo) duro

da 29 Gen 2016Culture, Presente0 commenti

C’è chi sarebbe disposto a procurarsi dolore fisico solo per vincere a un videogioco e vedere il proprio avversario soffrire per aver mancato una pallina. Sono i giocatori di Painstation, un gioco creato nel 2001 da due studenti universitari dell’Accademia d’Arte di Colonia, Tilman Reiff e Volker Morawe. A vederlo sembra un cabinato da sala giochi, con un trigger, una fessura per posizionare la mano per ognuno dei due giocatori e un display centrale. Per giocare, i due contendenti devono posizionare la propria mano nelle apposite fessure e premere il pulsante “I Agree”.

Il cabinato ha avuto 3 versioni. La prima nel 2001 basata su un Macintosh G3; una seconda nel 2002 che ha sancito il passaggio da Mac a Windows e l’introduzione delle punizioni dinamiche; una terza e ultima, la 2.5 rilasciata nel 2004, con un cambiamento di design che lo ha reso portatile e più semplice.
Il videogioco, ispirato a “Pong”, mette a rischio l’incolumità della propria mano. Ogni volta che un giocatore non riesce a respingere la pallina subirà una penitenza: scosse elettriche, frustate, oppure il surriscaldamento della piattaforma su cui poggia la mano. Inoltre ci sono dei bonus che portano disagio all’avversario, come flash accecanti o benefici per le proprie dita, come il raffreddamento della piattaforma su cui sono poggiate.
Ovviamente, perde il giocatore che per primo toglie la mano.

E’ ovvio che il cabinato non è stato creato con lo scopo di intrattenere, ma piuttosto con quello di mettere in luce quanto può diventare importante un semplice gioco e come la voglia di vincere possa prevaricare anche il dolore fisico.

Nonostante Painstation provochi dolore fisico, il cabinato riesce a tenere incollati i giocatori per ore. La sfida va oltre il rimandare la pallina dall’altra parte, oltre la competizione stimolata da un qualunque videogame. Vincere diventa ancora più importante perché in gioco c’è direttamente la persona, non solo mentalmente ma anche fisicamente.
I giocatori con la mano bollente e piena di lesioni continuano comunque a muovere il trigger nel disperato tentativo di battere il proprio avversario. Il termine “gioco” muta di significato e si trasforma in una specie di esperimento artistico, che da ormai 15 anni, infatti, gira il mondo grazie alle mostre itineranti di tecnologia. Una versione permanente è giocabile al Computer Games Museum di Berlino, dove tutti possono poggiare la propria mano e sperare di resistere, fra qualche frustata e qualche shock elettrico, più dell’avversario.

Alessandro Perrone

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