Tutto è ancora incerto riguardo il destino del Regno Unito.
La separazione, tanto voluta a giugno del 2016, sembra avere sempre meno sostenitori, con un radicale cambio di rotta verso il remain e la credibilità del governo May in costante indebolimento. Per avere qualche certezza in più bisognerà aspettare il terzo appello chiamato per l’inizio della prossima settimana, dopo i primi due a sfavore dei brexiteer, decisivo per la questione del backstop che potrebbe portare ad un rinvio e, si ipotizza addirittura, un secondo referendum sulla Brexit. La crepa più profonda rimarrebbe la gestione del rapporto tra le diverse popolazioni dell’isola, soprattutto quella tra inglesi e scozzesi, i quali coglierebbero l’occasione per rilanciare la volontà dell’indipendenza.
La scorsa estate ho avuto l’occasione di terminare il mio percorso di studi e lavorare proprio a Londra, dove da subito ho percepito il totale dissapore nei confronti della Brexit, e la consapevolezza che il proprio punto di forza sia la contaminazione di persone e mercati che la città vive ormai da decenni, se non secoli. Ho avuto la possibilità, grazie alle amicizie e i rapporti creatisi lo scorso anno, di tornare più volte nella capitale inglese e continuare a respirare l’umore britannico e l’ironia con la quale stanno approcciando al prossimo divorzio con l’UE. Gli ultimi esempi che mi è capitato di notare, sono i poster promozionali di un videogioco post-apocalittico raffigurante una città distrutta e innevata, imbrattati ovunque da scritte “Post-Brexit”.
È sulla stessa linea di questo british humor che tanto adoro, che ho deciso di mostrarvi la Londra “Pre-Brexit”, ancora integra e piena di energie.
Per un’immersione totale nella galleria, è consigliato l’ascolto di Boys Don’t Cry dei The Cure.
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