Cammini di notte sotto i monti pallidi,
ascolti i passi nel silenzio del sentiero,
e insegui il vento tra i boschi, in cerca.
Ma i vecchi qui hanno la pelle rugosa
cotta dal sole, e uno sguardo di anni abusati
di braccia e di gambe, e sanno di legna
e di campi e di sterco. Li incontri e ti dicono
mio figlio è tre mesi in Mongolia, e l’economia,
l’istruzione, la salute. Ma poi tirano le rughe
e ridono gettando la carne sul fuoco,
e una carezza al cane che aspetta.
E allora ti penso. E mi sento. Qualunque noi siamo,
non importa più. Ritorna a suonare quella canzone
nascosta ogni giorno e sommersa.
Quella musica dentro, muta per forza,
e quel testo analfabeta che dice sono io, io sono.
Con i monti pallidi appesi alle stelle,
e una ruga tirata sul volto.
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