In una buia stanza rischiarata dalla notte, un uomo attende. Le stanche spalle abbandonate alle fredde mura possenti, le braccia avviluppate nel pudore, lo sguardo perso nelle decorazioni della stanza. Attende, invano, che il suo dolore gli parli, gli dimostri con quanta violenza sia capace di rovesciarglisi addosso, con quanto silenzio riesca a soffocare il grido dei suoi cari portatigli via, come siano infinite le mutevoli sfumature del nero. Attende, invano, la fine dell’abisso, e l’abisso al di là del fondo, ed il fondo a coronamento di tutto l’abisso. Perché ogni acqua deve pur confluire da qualche parte e, colmato ogni fondale, non può far altro che risalire.
In una buia stanza rischiarata dalla notte, una donna è a terra, nuda. Dalle profonde ferite sul suo petto sgorga il sangue, che va a lambire i contorni del suo corpo segnato, come un tappeto rosso su cui è distesa. La donna non ha più ricordi, ora. La sua vita passata, il suo atroce presente e l’angoscioso futuro non sono che ombre su di un muro nero. Ora nulla può farle del male, perché nulla può più vederla.
In una buia stanza rischiarata dalla notte, un gruppo di persone attende che ogni cosa faccia il suo corso. Non c’è più niente, ormai, che mostri loro almeno una sagoma. La stanza nera, i contorni indefiniti, i corpi confusi nella moltitudine delle ombre; i battiti discendenti dei cuori gli unici elementi che suggeriscano l’esistenza dell’altro. Come ciechi in un sanatorio.
C’è chi ha scelto quell’angolo buio, lontano da tutti, incapace di trovare negli altri quello che trova in sé, succube della malinconia di tempi mai vissuti, di sogni repressi, di una morte giornaliera.
C’è chi tiene strette le memorie dei suoi cari, dei suoi momenti più belli a ogni costo, come chi trova una bella frase su di un libro e la rilegge assiduamente per non perderne il ricordo. Questa stanza buia rischiarata dalla notte cozza con la radiosa vita che hanno condotto. Non riescono a capire come sia stato possibile essere stati così vivi e così morti nello stesso tempo.
C’è chi vive secondo ragione, e compie sforzi sovrumani nel tener rinchiuse, nella morsa dei denti, le proprie giustificazioni e verità, che lo riempiono d’orgoglio, ma che sfuggono a chi non è come loro. Pur nella loro diversità, niente cambia davvero: il dolore si annida alla base del petto, insinuandosi silenziosamente tra i tessuti, le ossa, le cellule ed essi, se ne conoscessero l’effettiva portata, ne sarebbero sopraffatti.
C’è chi spera, chi si affida, chi attende, chi sogna. In ogni istante vive travolto dal corso degli eventi, divorato dalle termiti del passato, nido delle larve del futuro. Non esiste dolore nel presente, ma solo nella prospettiva accecante che quello che verrà dopo possa essere diverso. E ancora spera. E ancora alza gli occhi al cielo.
C’è chi vive nella paura di non provare nulla. Teme, al verificarsi di un evento funesto, che il suo corpo possa rimanere immobile, gli occhi deserti, le pieghe del viso impassibili, il battito regolare, il pensiero altrove. Rifugge dall’angoscia di non essere, nel dolore, come gli altri, e inscena pianti e provate espressioni anche in solitudine. Ma non teme nulla, nemmeno la morte: la vita gli ha insegnato che nulla è più doloroso di stare al mondo senza riuscire ad accorgersene.
C’è chi si appoggia ai propri valori, ai propri talenti, al proprio aspetto, alla propria sensibilità. Ma non a com’è davvero, bensì a come potrebbe apparire a occhi estranei. Per questo la sua vita è un’ombra nella luce di un lampione e, in quella buia stanza rischiarata dalla notte, celato agli sguardi, affronta i propri valori, i propri talenti, il proprio aspetto, la propria sensibilità, e li guarda mentre, lentamente, si dissolvono.
C’è chi non trova consolazione alcuna, poiché ha visto andarsene una parte di sé e ora si sente più fragile. In ogni istante tormenta il proprio cuore convalescente di non aver fatto abbastanza, di non aver provato compassione, di non aver versato sufficienti lacrime, di aver scelto di ricominciare.
C’è chi non avverte concretamente e nell’immediatezza la perdita, ma ne sente la mancanza solo al pensiero di non poter più parlare, di non aver più l’occasione di replicare i ricordi, di allontanare le vipere della malinconia. In ogni istante, appena si accorge di non provare nulla, scava nel passato fino a uscirne in lacrime, impotente.
In una buia stanza, rischiarata dalla notte, un uomo perduto, una donna nuda e un gruppo di persone affrontano l’oscurità. Non c’è speranza tra i loro lineamenti, né pessimismo, ma solo una vertiginosa voragine che solo il tempo riuscirà, forse, a ricoprire. Ma mai a colmare.
In una buia stanza rischiarata, la notte scende, imparziale, sui volti degli appestati, accarezzandoli, baciandoli, avvolgendoli nella sua coltre, celando le lacrime, commossa dalla loro forza. Perché, nell’ora in cui hanno perso tutto, nulla potrà far più loro del male. Nulla potrà vederli.
– Aprile 2020
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