L’ultima cosa che ricordo è un forte odore d’alcool e un leggero ronzio nelle orecchie provocato dall’impatto della mia testa contro un pannello di cartonlegno.
Un’ esplosione di colori e forme accende l’oscurità e riattiva i miei sensi. Dopo la confusione iniziale, la nebbia violacea che mi impedisce la ricerca di un punto di riferimento si dirada, lasciando spazio a un paesaggio piatto e bianchissimo senza un’evidente linea d’orizzonte. Ed è proprio da questa inesistente congiunzione fra cielo è terra che vedo spuntare una figura minuta. È un piccolo uomo calvo e con un paio di piccoli occhiali rotondi che lentamente si avvicina.
Si ferma a 12.74 metri da me.
“Hai provato ad arretrare i pilastri?”
“Scusa?”
“I pilastri. Arretrali. Lascia libera la facciata e soprattutto, appena ti svegli, libera la tua di faccia da quel pezzo di legno che hai in fronte”
“Ma io ti ho già visto da qualche parte…studi anche te architettura all’università di “nome inventato perché il vero non lo posso mettere.”
“Oh no no. Dio mi scampi da quel mare di pantaloni color senape e sciarpe palestinesi cucite da bambini sottopagati e strumentalizzati per le lotte politiche di chi le indossa.”
“Cosa?”
“Lasciamo stare…dammi retta e svegliati che quel plastico non si finisce da solo.”
“Quale plastico?”
“Ti sei fatto di Attack Gel?”
L’omino si allontanò. Rimasi immobile in quel paesaggio etereo e nebuloso finché non mi risvegliai.
Con del cartonlegno in faccia.
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