“Hostiles”, “Una questione privata”, “Stronger”, “Tomorrow and Thereafter”, “Abracadabra”, “My Friend Dahmer”, “Last Flag Flying”, “Blue My Mind”, “Insyriated”, “I, Tonya”.
Ho visto più film in questi cinque giorni che negli ultimi due anni.
È colpa, o merito, dell’opportunità che ho avuto di partecipare alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Lì sto guardando opere d’arte, presenziando a conferenze stampa e intervistando molte persone del settore.
E allora, ecco il mio “mid-festival recap”, come si fa con le serie tv.
Fino a oggi la Festa ci ha regalato tutto quello che ci si poteva aspettare. C’è la sorprendente fotografia nella brillante commedia di Pablo Berger (“Abracadabra”), ma anche la deludente e faticosa produzione dei fratelli Taviani (“Una Questione Privata”). Ci sono i ritmi indiavolati di Graig Gillespie nella meravigliosa storia di una pattinatrice redneck statunitense (“I, Tonya”) e quelli lenti e solenni del lutto familiare di un ex-marine da una parte (“Last Flag Flying”) e di una famiglia di rifugiati syriani dall’altra (“Insyriated”). Le intime introspezioni e le paure legate al cambiamento del proprio corpo, messe in scena splendidamente prima dall’eclettico Gyllenhaal (“Stronger”) e poi dalla giovane e promettente Luna Wedler (“Blue My Mind”). Le ruvidi e scioccanti tragedie dei personaggi, dalla sofferente Rosamund Pike (“Hostiles”) all’ancora acerbo Ross Lynch (“My Friend Dahmer”).
Se ogni pellicola ha i suoi punti deboli e i suoi punti di forza, il fil rouge che lega ogni produzione presentata alla Festa è la grande capacità dei singoli attori, alcuni dei quali da tenere d’occhio per la prossima stagione dei premi, soprattutto il ruvido Christian Bale, il sensibile Jake Gyllenhaal e l’esplosiva Margot Robbie, con una nota di merito e una personale soddisfazione nell’eventuale nomination di Allison Janney. Altra conferma è il talento di Bryan Cranston, Laurence Fishburne e il divertentissimo Steve Carell, che in “Last Flag Flying” ci regalano una tripletta mozzafiato. Nonostante mancheranno dal clamore dell’Academy, non possiamo non citare le delicate interpretazioni delle giovanissime europee Elsa Amiel e la già citata Luna Wedler. Spiccano poco, contro ogni aspettativa, uno spento e anonimo Luca Marinelli e un immaturo e basico Ross Lynch;
Salterò velocemente l’analisi di ogni regia, perché non ce n’è bisogno. Qualsiasi commento, positivo o negativo che sia, torna sempre al regista, locomotiva di un prodotto audiovisivo. Quindi ecco cosa troverete in base a quello che state cercando.
Per gli amanti della direzione della fotografia, non possiamo non segnalare i pittoreschi quadri e i campi larghi di leoniana memoria disegnati da Masanobu Takayanagi per “Hostiles”, e la precisa, colorata ed esuberante fotografia di Kiko De La Rica per “Abracadabra”.
Per gli appassionati di montaggio, consiglio l’incredibile lavoro di destrutturazione e ricomposizione che John Axelrad e Lee Haugen hanno compiuto con il racconto di Tonya Harding (“I, Tonya”), che non può non ricordare la filmografia di Scorsese [ci ho pensato tanto prima di fare il paragone e sì, confermo la somiglianza di stile].
Dal montaggio di “I, Tonya” prendo spunto per parlare anche delle colonne sonore, che vanno dai ritmi pop fine anni ’80 di quest’ultimo fino agli struggenti archi di “Insyriated” e “Hostiles”; dalle note disco in stile Saturday Night Fever danzate da Antonio De La Torre (“Abracadabra”) a quelle leggere del pianoforte che scandiscono la riabilitazione di Jeff Bauman (“Stronger”).
Gli amanti della narrazione, invece, non potranno esimersi dal tenere d’occhio la data di uscita di “Last Flag Flying” di Richard Linklater e “Blue My Mind” di Lisa Brühlmann, in cui potranno analizzare le sceneggiature dedicate al viaggio e al cambiamento meglio costruite di questa Festa del Cinema.
Per questi primi cinque giorni è tutto. Ci prendiamo un momento di pausa. Giovedì, però, saremo di nuovo lì, sperando di vedere ancora tanti altri film.
Con l’augurio che siano, se possibile, ancor più belli dei precedenti.
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