Capitolo 5: SPINACETO.
Sbattuta la portiera, davanti a lui si dispiegò una piccola borgata di Roma: Spinaceto. Non faceva paura. Certo, non era un quartiere rassicurante, ma non era neanche la città dei mostri che si aspettava. I lampioni fungevano da piccole lune che illuminavano i marciapiedi pieni di foglie e carta straccia. Parcheggiata la 500 nel primo posto che gli era possibile, Strambo, tremante per l’emozione, si guardò le mani, poi rivolse lo sguardo alla macchina e gridò.
Da dove era lui, in lontananza si vedeva l’insegna luminosa di un motel. Era un’insegna grande di colore viola con qualche accenno di luce verde che a intervalli brillava. Non fu difficile raggiungere quel piccolo affittacamere: quella specie di stella cometa a led facilitò tutto il tragitto di Strambo. La vita pareva essere difficile lì a Spinaceto, lo capiva dalle strade. Le strade erano come le persone. Prendi un quartiere, prendi le sue strade e potrai capire com’è la gente lì. E lì Strambo era al sicuro: sembrava che la gente fosse troppo impegnata a sopravvivere per pensare a un ragazzino con una strana camicia rossa sporca di sangue e uno strano sorriso sul volto. Fu proprio questo misero anonimato a permettere a Strambo di raggiungere quel motel senza essere notato.
Entrato, un marocchino grande e grosso lo guardò male, ma quando Strambo gli diede i soldi per avere una camera per quella notte, beh… Strambo era diventato uno di famiglia. Salì in camera sua, la n° 3105: era una singola con un enorme letto matrimoniale pieno di petali di rose e cuscini. Tolse i petali e si buttò di schiena sul letto. Lì sdraiato mise delle canzoni e si fermò ad ascoltare la musica che riempiva quella stanza. Era sera e non faceva caldo, anzi, dalle finestre entrava una leggera brezza. Provò a stare in quella situazione il più possibile, fino a che non sbuffò e si sedette a gambe incrociate sul letto. Tutto ciò non era più bello. Riproporre quella situazione non era più bello. A riprovarci si sentiva alienato. Quella che era la sua dimensione preferita, in quel contesto gli stava stretta, gli dava la nausea. Tutto quel viaggio per non poter fare più quello che voleva fare…
Quella stanza non era di certo bella, tantomeno pulita. Non gli trasmetteva nulla, se non pura apatia. Quel rosso con quelle pareti bianche erano solo un accostamento di colori per nascondere uno squallore deprimente. Era solo e seduto in quella che per lui poteva essere semplicemente una stanza d’ospedale, di manicomio o una cella. Di mangiare non ne aveva alcuna voglia, tutte quelle emozioni gli chiusero lo stomaco. Accese la televisione. Mise Rai 1, la più odiata delle reti. In onda andava uno stupido programma di vecchi che raccontano la propria storia d’amore. Poi il TG, con la sua sigla spacca-timpani, iniziò. Passarono qualche notizia sulla politica e qualcuna sullo spettacolo. Poi Strambo si vide su quello schermo di 35 pollici. Beh era ovvio che accadesse, la sparizione di un diciassettenne con un pò di soldi e una 500 non passa inosservata.
Di tutto quello che stavano dicendo, Strambo colse nervosamente la foto che misero alla tv: era vestito male con i capelli sporchi e disordinati. Adesso di sicuro la gente si aspettava di trovare per strada un ragazzo con una camicia verde pisello e dei pantaloni rosa. Beh, se Strambo avesse incontrato se stesso conquell’abbigliamento lo avrebbe preso a cazzotti, perché vestendosi così stava rovinando la sua reputazione.
Ormai il dado era stato tirato. La sua triste faccia era andata al TG1, di sicuro tra qualche giorno lo avrebbero trovato. Ma il film non poteva finire così. Uscì sul suo terrazzino. Si appoggiò alla ringhiera e si gettò la testa tra le mani, che saldamente la presero. Gli uscì qualche lacrima calda che finì giù per i suoi polsi. Era diventato un fuoco al solo pensiero che la sua avventura di lì a qualche ora sarebbe finita, che la realtà lo avrebbe raggiunto dandogli qualche calcio nel sedere e dicendogli: ”Ma cosa credevi di fare? Vivere bene? … ah ah ah. Coglione”. Alzò lo sguardo per asciugarsi gli occhi e vide una ragazzina sua coetanea dall’altra parte della strada, sul ciglio del marciapiede, tremante come le foglie secche e triste come le cartacce.
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