1821… Sono esattamente 200 anni fa: l’anno in cui Alessandro Manzoni scrive le odi Marzo 1821 e Il cinque maggio, la Spagna riconosce l’indipendenza al Messico, e anno in cui, In Italia, hanno inizio i primi moti della Restaurazione.
Lasciamo tutto questo fermento politico da parte, e avviciniamoci con discrezione a una casa in rue Hautefeuille nº 13, Parigi: è il 9 aprile 1821 e una giovane ventisettenne, di nome Caroline, sta dando alla luce suo figlio Charles. Un po’ più in là nell’anno, in una stagione più fredda, precisamente il 12 dicembre 1821 e un po’ più a nord della Francia, in Normandia, a Ruen nasce un bambino di nome Gustave.
Parliamo quindi di Charles Baudelaire e Gustave Flaubert, due bambini che condivideranno molto di più del mero anno di nascita.
Infatti nel 1857, a Parigi, vengono stampati due libri, due novità nel campo della letteratura che segneranno l’inizio di nuovi percorsi culturali ed estetici e daranno vita a un nuovo modo di scrivere, di concepire l’arte e il ruolo dello scrittore. Sono il romanzo Madame Bovary di Flaubert e Ia raccolta di poesie Les Fleurs du mal di Baudelaire.
Madame Bovary è, sin da subito, un’opera di rottura con la tradizione romantica: sia per il contenuto, che sottolinea l’inconsistenza degli ideali di quella cultura, sia per la formula narrativa. Questa descrive, come le più “accademiche” opere realiste, i meccanismi di funzionamento della vita moderna. Tuttavia risulterebbe riduttivo inserire Flaubert esclusivamente nella corrente realista. Anche Les Fleurs du mal non è definibile come un diario romantico, non è solo l’anima del poeta che si riversa dentro la pagina con tutta la sua passionalità, non è una poesia frutto di quella che romanticamente era “l’ispirazione”, ma è il prodotto dell’intelligenza, il prodotto del calcolo, è lavoro.
Potremmo parlare per pagine e pagine di quanto Flaubert fosse moderno, di come anticipò autori come Strindberg, Cechov o addirittura Brecht, o di quali siano le caratteristiche che rendono Baudelaire il cosiddetto “link” tra Romanticismo e Decadentismo, nonché precursore del Simbolismo. Ma oggi non siamo qui per una lezione di letteratura. A pochi mesi di distanza dalla pubblicazione delle due opere, i loro autori furono portati in tribunale, accusati di oscenità, e di questo parlerà l’articolo.
1. L’ACCUSA
Dopo esser stato citato per «oltraggio alla morale pubblica e religiosa e ai buoni costumi», Flaubert dichiarò: «Vi annuncio che domani, sabato 24 gennaio, onorerò con la mia presenza il banco dei truffatori, sesta camera di polizia penitenziaria, alle dieci del mattino. Le signore sono ammesse. Un abbigliamento decente e di buon gusto è di rigore». Lottò contro il perbenismo borghese e il bigottismo fino al 7 febbraio 1857, quando venne assolto.
I capi d’accusa contro Les Fleurs du mal erano gli stessi: «oltraggio alla morale pubblica e religiosa e ai buoni costumi». Ancora una volta, l’autore non era da solo in causa: con lui, era anche l’editore Auguste Poulet-Malassis a essere preso di mira. Il primo era già incastrato in una situazione difficile a causa della sua partecipazione alla rivoluzione del 1848, mentre il secondo era un repubblicano e oppositore di Napoleone III. Non stupisce, poi, che la requisitoria venne pronunciata dallo stesso Pinard, che questa volta, però, ebbe più successo: ottenne la condanna di sei poesie considerate oscene – sulle cento che conteneva la raccolta – 300 franchi di multa per l’autore e 100 franchi per ciascuno degli editori. In questo caso bisognerà attendere molto tempo affinchè giustizia venga fatta: infatti il tribunale annullerà la condanna della raccolta soltanto nel 1949.
Flaubert seguiva da vicino l’attualità letteraria, dal suo ritiro da Croisset, e non gli erano certamente sfuggiti alcuni casi di censura letteraria. Sapeva anche che “La Revue de Paris”, rivista sulla quale pubblicò l’opera a puntate, era sorvegliata per le sue convinzioni repubblicane e aveva già ricevuto più di un avvertimento. Quindi conosceva bene i rischi che correva pubblicando il romanzo. Non un romanzo d’amor cortese ma un romanzo sull’adulterio femminile e l’insofferenza della donna per la vita coniugale… nel 1800.
Inoltre, è interessante osservare le diverse tappe della redazione del romanzo, che ci permettono di seguire, passo dopo passo, il lavoro di Flaubert. Possiamo notare infatti che, rispetto alle bozze, la versione definitiva del romanzo sembra casta: quasi tutti i passaggi che evocavano la sessualità di Emma come «noyée de foutre, de larmes, de cheveux, de champagne», «manière dont elle l’aimait profondément cochonne» o ancora «elle l’aimait comme un godemiché» e tanti altri ancora più coloriti, sono scomparsi o si sono trasformati in allusioni o giochi di parole e distano ancora centinaia di bozze dalla redazione del testo definitivo. Tentativi, quindi, che confermano la totale consapevolezza dell’autore nei confronti dei contenuti della sua opera, dei limiti della morale e dei rischi della censura.
2. L’OGGETTO DEL CONTENDERE
Madame Bovary è ispirato a un fatto di cronaca e tratta anche un tema molto moderno come quello del conflitto tra realtà e finzione. La protagonista è infatti insoddisfatta della sua vita, che mette costantemente in paragone con le vicende amorose dei personaggi dei romanzi che legge. Tanto che alcuni critici definiscono l’opera come “capolavoro dell’insoddisfazione esistenziale”. Emma, una volta sposata, si rende conto di desiderare una vita che è l’opposto di quella coniugale tranquilla e monotona che conduce, desiderio che la porterà a vivere avventure “immorali”.
Inoltre Flaubert è affascinato “dall’esistenza del male”, descrive un mondo senza speranza né solidarietà lasciando trasparire una concezione pessimistica della realtà. Prova la sensazione di vivere in un’epoca “arrivata dopo”, quando tutto è già avvenuto, è in preda alla noia, che descrive come sentimento di impotenza, in modo molto simile allo spleen di Baudelaire. Infatti anche quest’ultimo, nei suoi componimenti, focalizza l’attenzione sulla sensibilità, l’irrazionalità e malinconia e anche lui esalta un mondo immaginario nel quale fuggire perché la realtà è spaventosa, piena di delusioni e noia (spleen). Descrive la sensazione di spaesamento tipica dell’età moderna che si prova immersi nella folla di una grande cittá e che provoca terrore e angoscia. Vediamo così come i due autori fossero quindi anche caratterialmente profondamente affini, condividendo sensazioni probabilmente dovute al concludersi dell’Illuminismo e dei moti rivoluzionari, che lasciarono in entrambi la sensazione di una “mancanza” e quindi di noia.
Così come Flaubert, anche Baudelaire lavora tutta la vita ad arricchire questo suo libro così provocatorio e scandaloso, e per lui lotta duramente. Deve fare i conti prima con problemi personali e la malattia, poi anche con gli editori, non molto d’accordo con l’idea di andare incontro a sicure reazioni della morale pubblica e contese legali. Notiamo, anche qui, una rivisitazione continua dell’opera, per cercare di filtrare il contenuto tra le maglie della censura e riuscire a pubblicare queste poesie, che arrivarono alla versione che conosciamo oggi solo nel 1868. Venne costretto ad eliminare passaggi o parole oscene, come la poesia Les bijoux, che trattava il tema dell’erotismo, o Lesbos e Femmes damnées, per via di quello dell’omosessualità femminile.
3. IL PARADOSSO DELLA DIFESA
La difesa, in un processo del genere, non era certo in una posizione facile: si trattava di colpire un’opposizione politica insieme a un’opposizione morale. Abbiamo parlato di due processi, che rivelano le strutture mentali di un’epoca che conosce ancora il reato di blasfemia, che fatica a separare arte e morale e che si interroga sul senso ultimo della “Libertà”; due processi che illustrano in modo esemplare come un regime possa cercare di controllare le coscienze comuni. Siamo infatti nel periodo del secondo impero, in cui i francesi sono sotto il regime autoritario di Napoleone III.
Potremmo chiederci anche noi se la censura è davvero una negazione della “Libertà”, nel nome della quale dichiaravano la propria innocenza Baudelaire e Flaubert. Molti risponderanno senza alcun dubbio di sì e qualcuno, tuttavia, potrebbe anche dire che la libertà, come tutti i principi, si definisce anche per i suoi limiti. In tal senso, non sarebbe scorretto affermare che ciò che rende un principio tale è ciò che lo delimita, e ciò che lo rafforza è ciò che lo nega. Se il concetto di libertà è quindi definibile soltanto attraverso i limiti contro cui essa stessa si proclama, risulta allora vero che senza limiti e senza regole non vi è più libertà.
Ponendo questo ragionamento come valido, nel processo si presenta un problema: o meglio, la difesa è vittima di un paradosso. In questo caso se il limite imposto alla libertà è la morale, ciò significherebbe che senza quest’ultima e una pratica che la tuteli, la censura, non sussisterebbe alcuna libertà.
In tal modo si arriverebbe ad affermare che la vera libertá espressiva degli autori risiedeva nella contestazione stessa delle loro opere e quindi nel processo, perché senza di questo, senza le accuse – volte a tutelare la morale, quindi il limite di cui sopra – non vi sarebbe stata libertà.
Tale è l’importanza storica di questo processo che vi è un articolo sul sito del ministero della giustizia francese.
Infine vi segnalo un video molto interessante e divertente per chi di voi conosce il francese (è privo di sottotitoli). Si tratta di una ricostruzione del processo a Baudelaire organizzato
da Lysias Sceaux, un’associazione che promuove competizioni tra studenti di diverse università.
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