(attenzione: il testo contiene grossi spoiler sulle vicende del film)
Capolavoro del regista Tom Schuman, il film “L’attimo fuggente” si apre con una diretta immersione nel rigoroso ambiente scolastico della Welton Academy, college d’istruzione superiore collocato in un contesto sociale molto elevato. Non per niente a potersi permettere gli studi in questo istituto sono solo i figli delle famiglie più benestanti negli Stati Uniti. La scuola vanta un’attività secolare ed è ben delineata dai valori espressi dalle sue 4 bandiere: Tradizione, Onore, Disciplina ed Eccellenza.
Gli studenti di una tale accademia sono, ovviamente, costantemente soggetti alle pressioni delle aspettative dei propri genitori e insegnanti. Frasi come “tuo fratello era uno dei migliori” o “ci aspettiamo grandi cose da te” riecheggiano tra i corridoi dell’edificio. Ci salta immediatamente all’occhio la forte influenza esercitata dai genitori sulle scelte di vita dei propri figli. Come non menzionare il padre di Neil, con i suoi modi duri e severi, che prende sempre ogni decisione per il ragazzo ed ha già descritto per lui un destino da futuro medico; dunque elimina ogni sorta di distrazione che possa determinare per il figlio un allontanamento da quest’obiettivo, per esempio sospendendolo dal giornale della scuola contro la sua volontà.
Le lezioni seguono tutte un rigido ed esemplare modello di insegnamento frontale, che fa da specchio della tradizione racchiusa in quelle mura; tutte, ad eccezione di quelle del nuovo insegnante di letteratura, il professor Keating. Le sue lezioni, a differenza di quelle degli altri docenti che si presentano tutte uguali e poco stimolanti, spiccano per originalità e rappresentano una piccola scintilla di luce nelle vite dei giovani studenti.
Prima ancora di presentarsi, Keating chiede ai propri alunni di chiamarlo “Oh capitano, mio capitano”. Il messaggio implicito in questa richiesta è quello di guardare alla sua figura come a quella di una guida o di un maestro, piuttosto che un’autorità di cui avere timore.
C’è un noto passo che recita: “Cogli la rosa quando è il momento”; o come direbbero i latini: “Carpe diem”. Un uomo deve sempre imparare ad inseguire i propri desideri e non farsi scappare il momento migliore per renderli possibili. La vita è di una gracilità ed una tal breve durata da non poter essere sprecata in esitazioni e rimorsi. Se non si fa ora ciò che ci è possibile, dopo probabilmente sarà troppo tardi e ci pentiremo di esserci fatti scivolare tra le dita tante di quelle occasioni da non poter essere contate su due mani.
Basta rivolgere l’attenzione alle fotografie dei primi studenti del college del Vermont: sono foto che hanno almeno un secolo, eppure quei visi ritratti sono così simili a quelli dei ragazzi che le stanno ora osservando attentamente. Ma di tutti quei volti, ce ne sarà stato anche uno solo che abbia realizzato a pieno tutte le proprie potenzialità? Probabilmente gran parte di loro avrà buttato al vento anni della propria vita finché non è stato troppo tardi per tornare indietro e viverla come avrebbe davvero voluto.
Il secondo insegnamento di Keating è:
“Non scriviamo e leggiamo poesie perché è carino; noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana e la razza umana è piena di passione. La poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita”.
Ed è con questa lezione che sprona i propri allievi a strappare l’intera prefazione del libro di letteratura, che vorrebbe insegnare a comprendere la poesia con l’impiego degli assi cartesiani. La poesia non va schematizzata come fosse una disequazione di matematica; le parole di un’opera vanno assaporate, vanno sentite, interpretate e fatte proprie e il loro impatto non può essere valutato in coordinate ma solo in emozioni trasmesse.
Sono significative anche le sue lezioni sull’identità dell’io, l’anticonformismo e l’omologazione. Il professore sale in piedi sulla cattedra esclamando:
“Perché sono salito su questa cattedra? Per ricordare a me stesso che bisogna sempre guardare il mondo da angolazioni diverse, ed il mondo appare diverso da quassù.”
“Dovete combattere per trovare la vostra voce, più tardi cominciate a farlo e più grosso è il rischio di non trovarla affatto. Osate cambiare, cercate nuove strade.”.
In un’altra occasione lavora sulla marcia individuale di ciascun ragazzo: ognuno di loro deve marciare per la propria strada, senza temere il giudizio degli altri o farsi condizionare dal pensiero di essere contro corrente o avere un’opinione impopolare.
A qualche giorno dalla conoscenza con i ragazzi, alcuni di loro scoprono l’annuario del professore e notano la sua singolare presentazione in cui è nominata una certa “Setta dei poeti estinti”, i quali, vengono a sapere, erano un gruppo di studenti che, ai tempi di Keating, era dedito a succhiare il midollo stesso della vita. Il loro punto d’incontro era la grotta nei pressi dell’istituto, dove, leggendo insieme passi di noti poeti, riuscivano a coglierne le note più profonde e romantiche. E con la rinascita della setta assistiamo ad una graduale ma rapida crescita di ciascuno dei personaggi principali, che seguiranno tendenze diverse.
Alcuni di loro faranno proprio lo stile di vita basato sul carpe diem, come per esempio Neil, protagonista della tragedia, che si farà travolgere dalle proprie aspirazioni e passioni. Oppure Knox, che, innamorandosi, andrà ad impelagarsi in situazioni assurde per cercare di fare colpo sulla ragazza che gli piace, sfruttando ogni occasione gli si presenti a tiro per incontrarla. Per non parlare di Dalton, soprannominato Nuwanda, che rappresenta a pieno lo spirito di ribellione della setta e con i suoi modi di fare spericolati, che lo fanno cadere più volte in guai seri, alla fine si fa espellere dall’accademia.
Altri mostrano una certa esitazione, come il timido Todd, che nell’arco della narrazione ha difficoltà ad uscire dal proprio guscio ed ha bisogno di essere sostenuto nel suo cammino da Keating, che riuscirà a tirare fuori la sua grinta poetica, e Neil, che gli insegna a ribellarsi e liberarsi dalle regole ingiuste che gli vengono imposte dalla famiglia e dalla scuola. Alla fine Todd è il ragazzo che matura più di tutti, riuscendo a sprigionare finalmente la sua personalità, per esempio nella scena conclusiva, in cui sale sul banco per rendere omaggio al capitano Keating e ringraziarlo di essere stato suo maestro.
E poi ci sono degli ulteriori studenti che invece si mostrano radicalmente legati ai valori preimpostati dalla scuola, come Cameron che, per la sua tendenza, tradirà successivamente i suoi compagni e accuserà Keating di star corrompendo le menti dei suoi alunni con idee assurde.
In tutto questo trambusto però si sta svolgendo la vicenda di Neil, che, grazie agli stimoli del suo “capitano”, ha scoperto la sua vera passione e ha compreso ciò che sogna per la sua vita: vuole diventare un attore e recitare in teatro. Sa bene però che questa sua propensione va in contrasto con quelli che sono i progetti escogitati per lui da suo padre, quindi partecipa di nascosto alle audizioni per la rappresentazione teatrale “Sogno di una notte d’estate” di William Shakespeare, ottenendo la parte del protagonista. Purtroppo suo padre scopre la sua bravata e gli impone di lasciare il teatro. Neil però si esibisce lo stesso, disobbedendo al padre. In tutta risposta, il signor Perry amareggiato sceglie di trasferirlo dal Welton College all’accademia militare, dove proseguirà con i suoi studi per diventare medico.
INTERPRETAZIONE PSICOLOGICA (basata sugli studi di Durkheim)
La discussione con il padre rende sempre meno imminente il fatidico gesto estremo: Neil si uccide, utilizzando la pistola del padre. Questo passo del film dispiega le vele per un viaggio in un mare di interpretazioni. La colpa è di Keating? La responsabilità è del signor Perry?
Teoria interessante è quella che possiamo trarre dagli studi sul suicidio di Durkheim. Secondo questo sociologo, si parla di suicidio egoistico quando l’individuo arriva a compiere un tale gesto poiché non è stato in grado di integrarsi nella società. Neil non è riuscito a compensare le imposizioni della sua famiglia e le sue pulsioni emotive.
Gli studi sull’io invece ci mostrano un’interessante caratteristica del nostro ego: ciascuno di noi tende ad identificarsi, cioè diventare simile, a qualcuno o qualcosa. Seguendo questo filo logico, possiamo affermare che i nostri meccanismi di difesa si attivano in situazione di forte stress, e possono rivolgersi anche contro sé stessi, specialmente nel caso in cui ci si è identificati nella fonte stessa dello stress. Se ipotizziamo che Neil si fosse identificato nel padre, allora potremmo affermare che si sia suicidato poiché uccidendo sé stesso in realtà egli voleva uccidere suo padre. Non per nulla ha usato la sua pistola per togliersi la vita.
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