Clicca qui per leggere il capitolo tre.
Guidare per Strambo non risultava così difficile: aveva visto suo padre, sua madre, la sua famiglia e poi film su film. Insomma guardando aveva imparato. Certo, la macchina non era il suo habitat naturale, anzi, la soffriva molto. Era una piccola gabbia a cui si affidava la propria vita per un breve tragitto pericoloso, e poi la cintura faceva venire da vomitare. Però lo affascinava molto la radio. Il modello della 500 ne aveva una piccola, vecchio stile, che funzionava molto bene. Strambo, lentamente e con mano tremante, si levò le cuffie e appoggiò il cellulare sul cruscotto, tenendo il volante con l’altra mano. Anche questo l’aveva visto fare nei film. Accese la radio su una frequenza qualsiasi. Mentre guidava andava in onda un talk femminile; le conduttrici avevano una bellissima voce calda e rilassante, che anche nei momenti di euforia calmava Strambo, molto sorpreso ed eccitato per la sua bravura nel tenere la macchina.
Strambo abbassò il finestrino per vedere i muri, le case, le strade che stava abbandonando dietro di sé. Erano le 16:30 e c’era uno strano sole, che sembrava quasi un riflettore del cinema puntato proprio su di lui, e Strambo ne era consapevole: gli si gonfiava il petto e gli veniva un sorrisetto furbo sotto i baffi, mentre appoggiava il braccio sul finestrino abbassato per sentire l’aria che lo colpiva velocemente ma che non poteva fargli nulla… Si sentiva così figo e potente nella sua 500. Nel momento della sua gloria assoluta, la sorte infame come un compagno di banco liceale che ti leva la sedia da sotto il sedere, gli fece prendere una buca, piccolissima, facendolo così balzare sul sedile, bloccare la macchina in mezzo alla strada e sbattere la testa sul volante.
Passò qualche secondo di silenzio e poi dalla radiolina una delle due voci riprese il talk: “Strambo stai bene?”. Il nostro amico figo sorpreso alzò la testa dal volante sgranando gli occhi e guardando la strada vuota davanti a sè. E in quello sguardo sgranato si poteva leggere il suo pensiero: “Perfetto. Sono diventato deficiente”. Si appoggiò allo schienale, si sistemò le spallette della camicia, tiró su con il naso e si mise alla guida. Fatto qualche metro la radio disse: ” Strambo… tutto ok?” Strambo fermò di nuovo la macchina esterrefatto, le braccia gli caddero giù per tutto il corpo e lo sguardo sgranato diventò più sgranato di prima. ”Si.”, disse quasi solo per avere la conferma che non c’era nessuno, e per prendersi in giro. ”Mah, non mi sembra.
Stai sanguinando dal naso”, gli rispose la radiolina. Si toccò il naso con un dito, e sì, stava sanguinando e pure tanto. Si prese la camicia e si pulì il naso stropicciandosi tutto il completino a righe. Ricominciò a guidare molto cautamente e meno da figo. ”Chi… chi sei?” La risposta fu pressoché immediata: ”Io sono Ludovica”. ”Ed io Lucia” e insieme le due ragazze dissero: ”E tu stai ascoltando la «L che scotta»”. “Ormai cercare una ragione è da sciocco”, pensò Strambo, “vivo questa follia, e allora viviamola”. ”Ah siete voi due… pff e io che pensavo di essere diventato deficiente…” disse ironicamente. ”Dove stai andando?” gli chiese Ludovica con la sua calda e dolce voce. ”Beh ecco… beh sai, non lo so proprio” disse Strambo guardando la strada vuota e sporca di un catrame nero come l’oblio. ”Se non sai dove andare perché viaggi?” gli chiese timidamente Lucia. ”Non sto viaggiando” disse Strambo con un tono da maestrino che teneramente spiega le cose ai suoi alunni. ”Io sto scappando” continuò. ”Beh all…“ provò a replicare Ludovica, ma prontamente Strambo la interruppe: ”Ti prego non chiederlo. Non voglio iniziare una conversazione… Ecco forse scappo anche dalle spiegazioni”. ”Vuoi un po’ di musica?” chiesero le ragazze all’unisono. ”No grazie, mi tranquillizzano le vostre voci calde e dolci…. Però se parlate all’unisono sembrate le gemelle di Shining, il che mi terrorizza”. Fra i tre cominciò una bellissima chiacchierata di cose stupide e futili caratterizzata da vari stereotipi. Quel timbro di voce e quel tono calmo faceva trasformare i discorsi più inutili in una chiacchierata seria, di quelle che si fanno al parco sdraiati sull’erba fresca della primavera.
La strada che Strambo aveva percorso non era molta, ma ai suoi occhi appariva come una piccola Odissea. Il sole stava calando e lui non sarebbe stato fortunato alla guida con la sola luce della luna. Però dove andare? Nessun posto è bello e sicuro. ”Se prendi la seconda a destra vai in un posto tranquillo, dove c’è anche un piccolo Motel” disse Ludovica. ”Ma non so che posto sia” rispose Strambo. Lucia, con la sua voce, che ormai aveva rapito Strambo, affermò: ” Che cosa ti importa? Tu stai scappando, l’ignoto per te è una casa sicura, un’avventura, la prossima pagina del tuo romanzo. Tu stai facendo un film emozionante, se ti fermi a chiedere o a pensare muore tutto. Muore l’emozione, la suspance. Se non prendi la strada che non conosci non ne potrai conoscere altre. Vuoi vivere? Allora fallo. Il passato è per chi non scappa, per chi è sicuro nella sua realtà. Tu la vuoi travolgere, capovolgere! Prendi la seconda a destra e… non so se te ne pentirai o no, so solo che lì c’è un piccolo motel in mezzo… in mezzo… non lo so neanche io. Adesso noi ce ne andiamo. Buona fortuna per tutto, Strambo. Ti mettiamo qualche canzone di Billie Eilish. Saranno le sue canzoni la tua colonna sonora. Ciao. Ti vogliamo bene Strambo”. Strambo strinse i pugni sul volante, inspirò e girò alla seconda a destra.
Non sapeva nulla. Era una piuma in un oceano agitato. Non sapeva perché Lucia e Ludovica gli volessero bene, non sapeva proprio se esistessero o era lui a essersi ammattito, non sapeva dove stava andando e quale sarebbe stata la sua collocazione per quella notte. Sapeva che nel nulla in cui si stava gettando a braccia aperte c’erano solo un motel e le canzoni della Eilish. Due colonne che sorreggevano il nulla. Ottimo come inizio dello stravolgimento.
0 commenti