Circondata dalle solite polemiche che accompagnano ogni azione del neo eletto Presidente degli Stati Uniti, il 16 marzo l’amministrazione Trump ha rilasciato il documento “America First: A Budget Blueprint to Make America Great Again” con le previsioni per il bilancio del 2018/2019, i finanziamenti ai vari settori industriali, alla sanità, alla cultura, alla sicurezza e al welfare: meno 30% all’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA), meno 29% al dipartimento di Stato per lo sviluppo, meno 23% al settore sanitario.
Anche stavolta, Donald Trump, secondo i media, ha superato il limite. Neanche i canali d’informazione più vicini al Presidente, come Fox News, sono riusciti a difendere il documento, che in ogni caso difficilmente passerà al congresso, almeno in questa forma.
Forse è arrivato il momento di smettere di meravigliarsi degli sconvolgenti annunci di Trump, ma soprattutto è inutile, e controproducente, criticare proposte politiche che di concreto e fattibile hanno praticamente lo 0%. Perché in questo modo Trump, come ha fatto in campagna elettorale, può continuare a sfruttare il suo status di vittima della stampa. E questo, in un’epoca in cui il mestiere di giornalista ha perso molta credibilità, vuol dire mantenere il consenso fra i sui elettori. Gli stessi che dovranno confermare le politiche di Trump nelle elezioni di medio termine. Gli stessi che lo faranno rieleggere.
La questione dei “muslim band” è l’esempio perfetto di come Trump provochi l’opinione pubblica e soprattutto quei media apertamente schierati contro di lui. I provvedimenti erano fuori dal recinto legislativo delineato dalla Costituzione americana, tanto che sono stati bloccati dal giudice distrettuale di turno, ma serviva un gesto di forza post insediamento e Trump ha accontentato tutti, ammiratori e detrattori.
Sarebbe meglio dare importanza agli effetti più concreti che le politiche del presidente hanno avuto in altri settori. Dare più risalto a notizie passate inosservate a causa del fragore mediatico generato da vari “annunci scandalo”.
Per esempio la questione NASA. Lo scorso 17 gennaio si dimetteva il direttore amministrativo Charles Bolden e a due mesi di distanza non è stato ancora nominato né un suo successore né un nuovo consiglio d’amministrazione e ciò limita molto il lavoro dell’agenzia in un momento cruciale per il futuro delle spedizioni spaziali.
È passata inosservata anche la notizia di una possibile apertura di Trump a nuove perforazioni petrolifere nei terreni di proprietà del governo, inclusi parchi nazionali, aree rurali e riserve. I petrolieri statunitensi si sono detti molto entusiasti.
Così come poco interesse ha suscitato la questione dell’abbandono delle trattative per il Partenariato Trans-Pacifico da parte degli Stati Uniti. L’accordo, a cui si lavora dal 2005, con la partecipazioni di 18 nazioni, ha come obiettivo principale la risoluzioni di controversie riguardo diversi argomenti, fra cui quello dell’ecosostenibilità. A Trump non interessa.
Tutto ciò evidenzia il distacco del mondo dell’informazione dalla realtà americana. I media hanno smesso di proporre confronti tra diverse opinioni per mostrarne una soltanto, pro o contro, già decisa a priori.
C’è bisogno che il giornalismo faccia un passo indietro e che cerchi di recuperare un po’ d’umiltà. C’è bisogno di raccontare la realtà e di combattere le tanto citate “fake news” con i fatti e con il confronto, senza dare risalto a “notizie bomba sconvolgenti” che di concreto hanno poco o nulla. Altrimenti tutta la credibilità che il giornalismo ha perso negli ultimi anni non verrà più recuperata. E questo è esattamente quello che Donald Trump spera.
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